TEMPO: Prima sera di un giovedì primaverile.
LUOGO: Una baracca di due stanze nel deserto, vicino — ma non troppo vicino: c’era più di un chilometro prima di trovare un altro edificio — a Indio, California, circa duecentocinquanta chilometri ad Est e -leggermente a Sud di Los Angeles.
In scena al levarsi del sipario: Luke Devereaux, solo.
Perché incominciamo con lui? Perché no?- Dobbiamo pure cominciare da qualche parte. E Luke, essendo uno scrittore di fantascienza, avrebbe dovuto essere molto più preparato degli altri a quel che stava per avvenire.
Vi presento Luke Devereaux. Trentasette anni, statura un metro e settantasette, peso, in questo momento, sessantacinque chili. Capelli rossi indomabili che non sarebbero mai stati a posto senza l’intervento di un barbiere, ma lui non andava mai da un barbiere. Sotto i capelli, occhi celesti che avevano molto spesso un’espressione distratta; quel tipo di occhi che non sai mai se ti vedono davvero anche quando ti guardano fisso. Sotto gli occhi, un naso lungo e sottile, centrato abbastanza bene in una faccia moderatamente lunga, non rasata da quarantotto ore o più.
Vestito, in quel momento (8,14 pm., Tempo Standard del Pacifico), di una maglietta bianca con la scritta Y.W.C.A. a lettere rosse, un paio di Levis sbiaditi e scarpe di tela molto sciupate.
Non lasciatevi fuorviare dalla scritta Y.W.C.A. Luke non è mai stato e non sarà mai membro dell’Associazione Cristiana delle Giovani. La maglietta apparteneva a Margie, sua moglie o ex moglie. (Luke non sapeva come stessero esattamente le cose:
lei aveva divorziato sette mesi prima, ma la sentenza non sarebbe diventata definitiva se non tra altri cinque mesi.) Quando lei aveva abbandonato il suo letto e la sua mensa, doveva aver lasciato quella maglietta in mezzo alle magliette di lui. Ltuke portava raramente magliette a Los Angeles, e quella l’aveva scoperta solo quel mattino. Gli andava bene — Margie -aveva una -taglia piuttosto grande — e perciò aveva deciso che, li solo nel deserto, ‘tanto valeva che l’indossasse un giorno, prima di considerarla uno straccio per pulire la macchina. Certo non valeva la pena di portarla o spedirla a Margie, anche se fossero stati in rapporti più amichevoli. Margie aveva divorziato dall’Y.W.C.A. molto prima di divorziare da lui e da allora non l’aveva più indossata. Forse l’aveva messa apposta tra le -sue magliette per fargli uno scherzo, ma Luke ne dubitava molto, ricordando di che umore era il giorno che se n’era andata.
Beh, gli capitò di pensare ad un certo momento, se Margie l’aveva lasciata per fargli uno scherzo, lo scherzo era fallito per lui l’aveva scoperta quando era solo, e quindi poteva addirittura indossarla. E se per caso Margie l’aveva lasciata apposta perché lui la trovasse, pensasse a lei e la rimpiangesse, s’era sbagliata anche in questo. Maglietta o non maglietta, qualche volta Luke pensava a lei, ma non ‘la rimpiangeva neppure un po’. Era di nuovo innamorato, e di una ragazza che era l’esatto contrario di Margie quasi sotto ogni punto di vista. Si chiamava Rosalind Hall, ed era stenografa agli Studi Paramount. Era pazzo di lei. Pazzo di lei. Pazzo di lei E questo contribuiva senza dubbio al fatto che si trovasse lì nella baracca, in quel momento, a chilometri da una strada asfaltata. La baracca era di proprietà di un suo amico, Carter Benson, anche lui scrittore, che qualche volta, nei mesi relativamente più freschi dell’anno, come in quel momento, la usava per lo stesso scopo in cui l’usava adesso Luke… la ricerca della solitudine alla ricerca di un’idea per un romanzo, alla ricerca di mezzi per vivere.
Luke era lì da tre giorni e stava ancora cercando e non aveva trovato niente tranne la solitudine. Quella non era mancata. Niente telefono, niente postino: e non aveva visto un altro essere umano, neppure in lontananza.
Ma pensava che proprio quel pomeriggio aveva cominciato a spuntargli un’idea. Era una cosa ancora troppo vaga, troppo diafana per metterla sulla carta, anche sotto forma di appunto; qualcosa d’impalpabile, forse, come una direzione del pensiero… ma comunque era qualcosa. Era un inizio, pensava lui, ed un notevole miglioramento in confronto al modo in cui era andata a Los Angeles.
Aveva attraversato la peggior crisi della sua carriera di scrittore, ed era quasi impazzito, nel senso letterale della parola, perché non aveva scritto una parola per mesi. E quel che era peggio, il suo editore lo assillava con frequenti lettere via aerea da New York, chiedendogli almeno un titolo da presentare per il suo prossimo libro. Tra quanto avrebbe finito il libro, e quando potevano programmarne l’uscita? Poiché gli avevano pagato cinque anticipi di cinquecento dollari, avevano il diritto di chiederglielo.
Alla fine, la pura disperazione e ci sono poche disperazioni più pure di quella d’uno scrittore che deve creare e non può l’aveva spinto a farsi prestare le chiavi della baracca di Carter Benson ed il suo uso per tutto il tempo necessario. Fortunatamente Benson aveva appena firmato un contratto di sei mesi con un produttore cinematografico di Hollywood e almeno per quel periodo non si sarebbe servito della baracca. E così, adesso Luke Devereaux era lì, e sarebbe rimasto lì fino a quando avesse preparato la trama del libro e avesse incominciato a scriverlo. Non sarebbe stato costretto a finirlo lì: quando l’avesse incominciato, sapeva che poteva concluderlo anche nel suo habitat originario, dove non sarebbe stato più costretto a negarsi le serate in compagnia di Rosalind Hall.
Ormai da tre giorni, dalle nove del mattino fino alle cinque del pomeriggio, aveva camminato avanti e indietro, cercando di concentrarsi. Sobrio, e spesso con la sensazione di impazzire. La sera, poiché sapeva che stillarsi il cervello troppo a lungo gli avrebbe fatto più male che bene, si concedeva una tregua: leggeva e beveva qualche drinks… una quantità che, come lui sapeva, lo rilassava ma non lo ubriacava e non gli lasciava i postumi della sbronza l’indomani mattina. Distribuiva meticolosamente i cinque drinks perché durassero fino alle undici. Le undici in punto erano per lui l’ora di andare a letto, lì nella baracca. Non c’è niente di -meglio della regolarità.., a parte il fatto che non l’aveva aiutato per niente.
Alle 20,14 aveva preparato il suo terzo drink, quello che doveva durargli fino alle ventuno, e aveva appena finito di berne il secondo sorso. Stava cercando di leggere, ma non ci riusciva molto bene perché la sua mente, adesso che lui si sforzava di concentrarsi sulla lettura, voleva invece pensare a scrivere. Spesso le menti sono fatte così.