IL SETTIMO COMANDAMENTO – Lawrence Sanders
Un anno di vacche grasse, era stato.
In gennaio, Mike Trevalyan, il suo capo, aveva spedito Dora a Boston a occuparsi dell’indennizzo richiesto da una coppia di loro assicurati. I due giovani coniugi rampanti avevano trascorso un fine settimana a New York e quando erano rientrati la domenica sera, avevano trovato l’appartamento svaligiato. Così sostenevano. Scomparsi tutti i mobili e i quadri. Avevano registrato su videocassetta tutti i loro beni e pretendevano dalla compagnia il versamento del massimale previsto dalla polizza, 50.000 dollari.
In due giorni aveva scoperto che gli yuppie erano due svagati con un debole per le sigarette speciali. Tutto quello che avevano in casa, dagli sgabelli ai quadri, era stato preso a noleggio; non erano proprietari nemmeno di una forchetta. Avevano pensato di poter tranquillamente stipulare una polizza di assicurazione, pagare il premio del primo anno, vendersi tutto quello che avevano preso in affitto e chiedere l’indennizzo. Ah!
In febbraio Dora si era recata a Portland a indagare sul caso di una fabbrica di piumini devastata da un incendio notturno. I vigili del fuoco non avevano trovato alcun evidente indizio di dolo, ma la ditta era inguaiata con i fornitori e l’assicurazione per due milioni di dollari non poteva non essere sembrata succulenta al titolare indebitato.
Le ci era voluta una settimana per capire come aveva fatto. Il titolare aveva sistemato un tavolo di legno sotto una lampadina che pendeva bassa dal soffitto. Sul tavolo aveva impilato un cumulo di cotone idrofilo. Poi aveva avvolto una garza sulla lampadina da 150 watt, aveva acceso la luce e se ne era andato tranquillo e beato cantando Blue Skies. Il calore della lampadina aveva dato fuoco alla garza, che era caduta sul cotone, incendiando di conseguenza tutta quanta la fabbrica.
In aprile era stata a Stamford a occuparsi della richiesta di risarcimento per il furto di un bozzetto a matita di Picasso da un’elegante galleria d’arte. Il disegno era valutato 100.000 dollari. Era a Stamford da poche ore quando la compagnia aveva ricevuto una telefonata da uno sconosciuto che aveva dichiarato di essere l’autore del furto e di essere disposto a rivendere l’opera per venticinque bigliettoni. Trevalyan le aveva telefonato incaricandola di mettersi in contatto con l’Fbi.
Dopo alcune telefonate, aveva fissato un appuntamento con il ladro nel parcheggio di un ipermercato. Aveva consegnato il denaro con i numeri di serie registrati, aveva ricevuto in cambio il disegno e aveva quindi lasciato che se ne occupasse l’Thi. Risultato: l’opera d’arte era un falso e il «ladro» era l’amante del proprietario della galleria che aveva inoltrato la richiesta di indennizzo. Aveva architettato lui il piano, conservando il vero disegno di Picasso in cassaforte.
In maggio e in giugno, tutti i casi sui quali aveva investigato erano sembrati assolutamente puliti. Di fronte a tanta generalizzata onestà, aveva cominciato a preoccuparsi, temendo di essersi lasciata scappare qualche indizio importante.
Ma tutto era ridiventato normale in luglio.
Era accaduto appena fuori Providence, alla residenza estiva di un banchiere di Wall Street. La moglie aveva dichiarato che poco prima della mezzanotte c’era stata un’interruzione nell’erogazione dell’energia elettrica. Il banchiere aveva trovato una torcia annaspando nel buio ed era sceso in cantina a controllare i termodinamici. Lei lo aveva sentito strillare e subito dopo c’era stato il rumore della caduta. Pochi attimi Più tardi le luci si erano riaccese, cosicché era corsa in cantina, dove aveva trovato il marito accartocciato ai piedi delle scale. Collo rotto. Molto morto.
Dora era arrivata il giorno seguente e aveva fiutato puzza di bruciato nella storia della moglie. Il cattivo odore si era fatto penetrante quando aveva notato, senza mancare di riferirlo ai funzionari di polizia che svolgevano l’indagine, che sebbene tutti gli orologi elettrici della casa mostravano un ritardo di una ventina di minuti, a sostegno del racconto della donna, l’orologio del videoregistratore non era stato resettato e indicava che la corrente era venuta a mancare alle 21.30.
Dalle testimonianze dei vicini era emerso che la moglie intratteneva una focosa relazione con il giardiniere, un muscoloso giovane che studiava arti marziali e partecipava spesso a tornei di karate.
Per quanto fisicamente dotato, il giardiniere non era molto sveglio. Era stato lui a crollare per primo, ammettendo di aver partecipato all’omicidio progettato dalla moglie della vittima.
Nel tardo pomeriggio, mentre il marito era a giocare a croquet, lei lo aveva introdotto in cantina.
Alle 21.30 l’amante aveva tolto la corrente. Il banchiere aveva affrontato le scale della cantina con tutte le cautele del caso. Il giardiniere lo aveva afferrato per una caviglia e dopo averlo fatto cadere, gli aveva spezzato il collo. Riacceso l’interruttore generale, avevano lasciato che gli orologi elettrici mostrassero un’interruzione di venti minuti, ma avevano dimenticato il timer del videoregistratore. Movente? L’assicurazione sulla vita del banchiere, naturalmente. E la passione, aveva Supposto Dora.
In settembre era stata a Manhattan dove una personalità politica locale sosteneva che qualcuno aveva rubato il suo Hatteras 37 Convertible dalla darsena della 79° Strada. Aveva impiegato meno di una settimana per scoprire che in realtà aveva regalato lo yacht alla sua ex amante, donna vendicativa che aveva minacciato di andare a spifferare ai cronisti dei rotocalchi le sue stravaganze in camera da letto, inclusa, aveva tenuto a sottolineare, la mania di indossare……